mercoledì 14 aprile 2021

 PALAZZI E VILLE delle MARCHE: a caccia di stampe e di originali

Oggi vi porto dentro uno dei miei personalissimi luoghi del cuore, già mio oggetto di studio e pubblicazione, con una recente scoperta inedita: 

Dafni e Amore nella Villa di Fontebella a Piane di Montegiorgio

Fondazione di epoca romana, completamente rinnovata dal marchese Andrea Passari Venturi Gallerani intorno al 1870, su progetto dell'architetto senese Giuseppe Partini, la villa è oggi spoglia di ogni decorazione, eccetto questa.


L'immagine, per quanto mi è dato sapere, è unica nelle Marche, e non sembra riconducibile a un originale pittorico (quadro o soffitto che sia), ma solo di tipo xilografico. La  cosa non dovrebbe stupire, dato che parliamo di una stampa ispirata a un poemetto settecentesco, spesso corredato da illustrazioni come questa. 



Sto parlando del poemetto pastorale IL PRIMO NAVIGATORE (1756, prima edizione in tedesco), del poeta e pittore svizzero Salomon Gessner (1730- 1788). Con i suoi Idilli Gessner era diventato famoso in tutta Europa (si contano a decine le traduzioni italiane, a partire da quella di Fernando Ceppelli del 1771) e molti artisti ne avevano subito l'influenza: Felice Giani, ad esempio, tradusse in immagini le gesta del primo navigatore nel Palazzo dell'Ambasciata di Spagna a Roma (1806) e in Casa Conti a Bologna (1810).


In questo disegno 
della Pinacoteca Nazionale di Bologna, intitolato Il primo navigatore incoraggiato da Amore si accinge a salire sulla piroga, il tema è ripreso da un altro grande pittore neoclassico, Pelagio Pelagi.


Ma com'è la storia del primo navigatore? 

Immaginiamo un mondo primordiale, un'età dell'oro della natura, quasi un paradiso terrestre. Dafni, un pastorello che ne abita i boschi ameni, è innamorato di Melide, imprigionata però in una lontana isola; protetto e incitato da Amore, usando il proprio ingegno per costruire la prima barchetta a remi, Dafni riesce infine a raggiungere l'amata.

Il soffitto di Fontebella mostrerebbe dunque Dafni in difficoltà, scoraggiato, e Amore che, seppure invisibile, continua a sostenerlo e a spronarlo, infondendogli il coraggio necessario per affrontare l'impresa della traversata.

Tale è la celebrità di questo poemetto, che negli anni a cavallo tra Sette e Ottocento ne verranno tratti anche commedie e balletti di successo. 

Non poteva di certo restare escluso dal gran commercio di stampe neoclassiche!

E infatti, ecco qua l'originale dei nostri Dafni e Amore montegiorgesi, nella versione incisa da Raffaello Morghen (1758-1833), su disegno di J. August Nahl II (1710-1781), corredata di titolo:

Dafni ed Amore: Amor diceva al pastorello afflitto: sciogli la barca e valichiamo il fiume, ti renderà beato il tuo tragitto


Un'incisione ai massimi livelli (edita a Roma da Giovanni Volpato intorno al 1780) che, come vi mostrerò in seguito, non è l'unica della serie dedicata agli Idilli di Gessner presente sul nostro territorio.


martedì 30 marzo 2021

  PALAZZI E VILLE delle MARCHE: a caccia di stampe e di originali

Da uno dei più prestigiosi e noti palazzi di Macerata viene l'immagine che vi propongo oggi per la mia rubrica dedicata alla ricerca dell'originale pittorico, ed eventualmente della stampa che ne ha agevolato la circolazione nelle Marche.


Mercurio dona la lira ad Apollo a Palazzo RICCI di Macerata


Vi siete mai chiesti chi fu l'inventore della lira tanto cara al dio Apollo? E con quali mezzi realizzò l'elaborato prodigio?

La nostra curiosità è ampiamente soddisfatta dalla lettura dell'Inno Omerico a Hermes (IV 75-78), dove si racconta dell'ingegnoso furto delle vacche di Apollo da parte di un giovanissimo Mercurio. Dopo che ebbe nascosta la mandria nell'antro di una grotta, Mercurio si imbatté in una tartaruga, la afferrò e se la portò a casa: aveva già delle idee sul destino di quel "giocattolo". Per prima cosa "estrasse la  polpa", poi "infisse nel guscio steli di canna", quindi "tese tutt'intorno una pelle di bue, fissò due bracci, li congiunse con una traversa e tese sette corde di minugia di pecora in armonia tra loro". A questo punto, non gli restò che provare a suonarla, e accompagnare col canto la magnifica musica che ne scaturì. Ma ecco che, rapito dalle note, Apollo la volle per sé e propose a Mercurio uno scambio pacifico: le vacche per la lira (Cfr. L. De Rose, Il volo della tartaruga, Atti del X Convegno SIA, 2010, p. 125).

L'episodio della consegna dello strumento è raffigurato in uno scomparto della celebre Galleria di Palazzo Farnese a Roma, affrescata da Annibale Carracci e bottega negli anni a cavallo tra il 1597 e il 1607.




Sui lati lunghi della galleria le otto scene mitologiche sono dedicate a personaggi, animali e cose trasformati in costellazioni, in questo caso il riferimento è alla costellazione della LIRA.

Fortunatissima fu la serie di 44 incisioni ad acquaforte immessa sul mercato da Carlo Cesi Cesio(1626-1682), all'incirca mezzo secolo dopo la realizzazione degli affreschi. 

 


Speculare rispetto alla stampa originale, è la resa di questa copia da Cesi incisa in controparte da un artista anonimo.


E' certo che le immagini riportate sulle stampe tratte dalla Galleria di Palazzo Farnese godettero di grande fortuna e funsero da modello nelle decorazioni di molti palazzi, non solo marchigiani. Ma ritornerò sull'argomento con altri esempi.

Intanto, questo riquadro con Mercurio e Apollo si trova a Palazzo Montani Antaldi di Pesaro (sede Museo Nazionale Rossini),


  e questi due a Brescia, in Palazzo Barboglio, 


e in Palazzo Averoldi.




martedì 23 marzo 2021

  

 PALAZZI E VILLE delle MARCHE: a caccia di stampe e di originali

In questo secondo appuntamento della mia rubrica, vi invito alla scoperta di ben tre dimore storiche marchigiane (e non solo), dove la presenza della stessa immagine nel soffitto dipinto (trattasi spesso di un salone), testimonia il grande favore di cui godeva in provincia la riproduzione di una celebre opera decorativa romana negli anni a cavallo tra Sette e Ottocento.

2.  Allegoria dell'Aurora:     

  

   Palazzo Lazzarini di Macerata;         



      Villa Lauri di Pollenza (MC);




    Palazzo Venieri Carradori di Recanati (MC).                       




Nel cielo si annuncia l'inizio di un nuovo giorno; Aurora (la greca Eos), vestita di giallo,  diffonde nell'aria i colori tenui di pallide rose e fiori  (Esiodo, Teogonia 371; Omero, Iliade VIII e XIV, Odissea XV); alle sue spalle, con torcia che arde, il figlio Fosforo, "nunzio della luce sulla terra", prima stella del mattino (Esiodo, Teogonia 378, 381; Omero, Iliade XXIII); sul carro, trainato da quattro cavalli di colore diverso, come le digradanti sfumature della luce all'avanzarsi del giorno (Ovidio, Metamorfosi, II), c'è suo fratello Elio, il dio Sole (Omero, Iliade VII e VIII; Esiodo, Teogonia 371; Inno Omerico XXXI); intorno al dio stanno le Ore che, assolto il compito di attaccare i cavalli al cocchio d'oro, opera di Efesto, governano con lui il ciclo delle stagioni e della natura (Omero, Iliade,V; Esiodo, Teogonia 901).

Nella parte superiore di questa incisione, tratta da un rilievo romano del II secolo d.C. con  Mitra che uccide il toro sacro (al Louvre-Lens), compaiono, ad eccezione delle Ore, i protagonisti della nostra scena. 




Sono sicura che a molti di voi questa immagine dell'Aurora risulterà familiare, anche se il luogo in cui è stata elaborata, di proprietà privata, non è  particolarmente  accessibile, dato che rimane aperto al pubblico solo il primo giorno di ogni mese. 
Ma vi assicuro che vale la pena organizzarsi per andare a darle un'occhiata.

Siamo  ancora  una volta a  Roma, ma nella Roma di  inizio Seicento,  nell'odierno  Casino Pallavicini  Rospigliosi, la cui sala centrale ospita  questo celebre affresco di Guido Reni (1575-1642).




Fu Scipione Borghese (suoi erano il palazzo, il parco e l'elegante casino sul Quirinale) ad ingaggiare il pittore bolognese, all'apice della sua fama, nel 1614.

Il racconto del ciclico sorgere del sole è qui strettamente connesso ai rilievi antichi che il cardinale fece inserire nella facciata del casino, in origine lastre di sarcofagi romani, i cui motivi rimandano alla ricerca dell'immortalità: così, mentre il Sole attraversa i cancelli del cielo di cui Aurora è custode, nasce per gli uomini la speranza di una rinascita e di una vita migliore.

Attraverso  quali vie il disegno del celebre affresco giunse in  provincia? 
Stampe, of course!
Già dal XVII secolo le incisioni che lo riproducevano per intero o, come in questo esempio di Jacob Frey, estrapolandone un particolare, erano tante.




Nel cercarne degli esempi da mostrarvi, ho ritrovato alcuni "vecchi amici", incisori neoclassici di grande fama che mi era già capitato di studiare in occasione delle mie ricerche su Palazzo Passari di Montegiorgio e Palazzo Bruschetti di Camerino.




Questa bellissima stampa risale ai primi anni dell'Ottocento e si deve a uno dei massimi incisori di traduzione italiani: Raffaello Morghen (1758-1833). Qui Morghen incide il rame sulla base di un disegno fornitogli dal pittore Antonio Cavallucci, per dedicarlo al principe Giuseppe Rospigliosi, duca di Zagarolo.
Siamo in un'epoca in cui questo genere di stampe, orgogliosamente firmate e dedicate a potenti personaggi dell'alta società italiana e non solo, hanno un vastissimo mercato collezionistico. 

Contemporaneo di Morghen, anche Francesco Rosaspina (1762-1841) realizza una sua versione dell'Aurora Pallavicini.




Mentre Morghen incide da un disegno di un pittore a lui contemporaneo, quello che Rosaspina ricalca è un foglio molto prezioso, dato che risale a due secoli prima ed è un raro oggetto d'antiquariato: si tratta infatti di un disegno realizzato da un notissimo pittore seicentesco, che poté ammirare l'Aurora Pallavicini non appena compiuta, tale Giovanni Francesco Barbieri, soprannominato il Guercino (1591-1666). 
Ovvio che il Guercino dovette confrontarsi con l'impareggiabile modello di Reni, essendo stato chiamato, giusto sette anni dopo, a decorare con lo stesso tema la volta del Casino Ludovisi (Roma,1621). 

Davvero incredibile come viaggino veloci nel tempo e nello spazio le immagini, già prima dell'invenzione della fotografia!

La mia rassegna termina con un'incisione a contorni, come vi dicevo usata generalmente a fini scientifici nei manuali di storia dell'arte ottocenteschi,
 



con una versione molto raffinata del 1890 del fiammingo Johannes Burger;




e, per concludere, con il soffitto di un palazzo mantovano, Palazzo Bonacolsi (o Acerbi-Cadenazzi), decorato a partire dal 1811 da Felice Campi, che fa capire chiaramente come la  citazione erudita di grandi capolavori del passato non fosse solo una moda marchigiana!



mercoledì 17 marzo 2021


 PALAZZI E VILLE delle MARCHE: a caccia di stampe e di originali

Ho deciso di dare il via a una vera e propria rubrica, dedicata alle mie più recenti e inedite scoperte riguardo la presenza in alcune dimore storiche marchigiane di immagini tratte sostanzialmente da stampe.

Benvenute/i al primo caso di studio.



  1. Venere ferita da Amore a PALAZZO PASSARI di Montegiorgio


L’immagine di Venere ferita da Amore, nella Stanza del Tempo che svela la Verità, piano nobile di Palazzo Passari di Montegiorgio, è copia di un affresco realizzato nel 1516 dagli allievi di Raffaello, su disegno del maestro, per la Stufetta del Cardinal Bibbiena (Palazzo Apostolico, Città del Vaticano), la cui decorazione venne commissionata al maestro urbinate dal cardinale Bernardo Dovizi di Bibbiena, concordando con Pietro Bembo i motivi mitologici da inserirvi. 

L’immagine è tratta dalle Metamorfosi di Ovidio (Libro X, 525-526) e costituisce l'incipit della storia d’amore di Venere e Adone, illustrata in altri due riquadri con scene successive all'innamoramento della dea.

Ecco la celebre stufetta cinquecentesca e il particolare del riquadro con Venere ferita da Amore.




Questa la descrizione di Hermann Dollmayr che nel 1890 poté vedere e studiare gli affreschi, individuandone le fonti letterarie: “Venere [è] seduta in un bel paesaggio, cogli occhi rivolti mestamente a terra e la mano appoggiata alla mammella sinistra, attraverso la quale Amore l’ha colpita al cuore con un dardo. Amore le sta accanto appoggiato al suo arco e la guarda furtivamente, mentre essa gli appoggia languidamente il braccio sulla spalla” (cfr. H. Dollmayr, Lo stanzino da bagno del Cardinal Bibbiena, 1890, pp. 276-277).

A causa dei soggetti licenziosi, la visita dello stanzino da bagno fu a lungo proibita e perciò conosciuta solo attraverso delle incisioni. 

Dollmayr stesso indirizza il lettore alla visione di una stampa di inizio Ottocento tratta da un disegno di Tommaso Piroli (1752-1824), sebbene le stampe più antiche si devono alla mano di Marco Dente di Ravenna (n.? -1527) e di Agostino Veneziano (1490-1540), entrambi allievi di Marcantonio Raimondi, incisore di fiducia di Raffaello, immesse sul mercato subito dopo la fine della campagna decorativa vaticana.

Questa è la stampa rinascimentale di Agostino Veneziano; da notare, fenomeno non insolito a quei tempi, l'inserimento di un paesaggio urbanizzato alle spalle dei protagonisti, frutto dell'invenzione autonoma dell'incisore.

 

Questa  è  invece  la  stampa  neoclassica  di  Tommaso  Piroli,  dove la  resa  del paesaggio  campestre  è  fedele  all'originale. Si  tratta  di  un'incisione a semplici contorni, senza particolari indicazioni chiaroscurali, del tipo molto diffuso a partire da inizio Ottocento, generalmente impiegato come illustrazione a corredo di opere storiografiche destinate a un pubblico di artisti e critici d'arte.


Per finire, aggiungo anche la bellissima stampa a guazzo di Michelangelo Maestri, ancora inizio XIX secolo, popolarissimo tra gli stranieri che ne acquistavano le opere come ricordo del Grand Tour compiuito in Italia.



lunedì 12 novembre 2018

A Bologna per il ponte di Ognissanti: scoprire la Biblioteca d'Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale

Quando pensavo di aver visto tutto, Bologna torna a sorprendermi.
In questo luogo, immagino, verrei spesso. Mi siederei ad un tavolo, o sulla comoda poltroncina in una delle cappelle, e poserei lo sguardo affamato sui libri messi a disposizione a scaffale aperto. Comodi i ripiani ad altezza d'uomo (non ci obbligano ad arrivare in alto con la scala). E c'è tanta luce!
La sede è di per sé un gioiello d'arte: si tratta dell'ex-chiesa di San Giorgio in Poggiale (XVI secolo), situata nella centralissima via Nazario Sauro, distrutta dalla guerra e restaurata in anni recenti. Bellissimo l'allestimento curato dall'architetto Michele De Lucchi. Quel tocco in più è stato dato con l'inserimento di monumentali opere di arte contemporanea.



Entrando dalla splendida bussola in mattoni di abete e camminando verso l'altare, vedo le gigantesche tele di Piero Pizzi Cannella inserite nelle cappelle laterali. Sono vedute di città irreali dove convivono pacificamente alcuni riconoscibilissimi luoghi di preghiera, appartenenti a tutte le religioni.
Sulle tre pareti concave del coro absidale è rimasta l'ombra di una perduta biblioteca incenerita: non solo ricordo di antichi disastri, di ferite nella memoria, ma invito a fare attenzione, ad avere cura delle testimonianze del passato.



All'estro di Carlo Parmeggiani, e in coerenza con il tema della decorazione retrostante, appartiene anche Campo De' Fiori, l'installazione che siede sull'altare maggiore: una campana, massiccia e inutile, è piombata a terra e blocca al suolo un'ordinata pila di libri bruciacchiati. Fa male, a me che amo e custodisco gelosamente l'oggetto libro, constatare che i segreti di quei libri anneriti mi sono negati e torno a considerare la tragedia dei roghi ideologici, la dispersione di tanti manoscritti, il duro lavoro di chi si è occupato di conservarli. E di chi ancora lo fa con grande dedizione.
Il patrimonio librario (i testi vanno dal 1831 ad oggi) appartiene alla Fondazione CARIBO, che offre anche la consultazione di giornali e periodici. Presente anche un consistente archivio fotografico.
Sulla storia e altro a proposito della chiesa, vi rimando ai contenuti del regolamento pubblicato dalla direzione della biblioteca: https://genusbononiae.it/wp-content/uploads/2016/02/Regolamento-Biblioteca-2013.pdf
Vengo a vederla perché incuriosita dalla mostra sull'incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718), in questo caso esercitatosi sul tema della fugacità del vivere. Molto interessante scoprire quanto il pensiero che di fronte alla morte siamo tutti uguali, esposto magistralmente da Totò nella sua celebre poesia La livella (1964), fosse ossessivo per Mitelli e i suoi contemporanei. Sono decine le stampe che Mitelli mise sul mercato, declinando di volta in volta vizi, passioni e illusioni di persone appartenenti a varie classi sociali. "Ogni cosa quaggiù passa e non dura", recita uno dei motti dell'artista... e su questo monito, alla fine, mi sono ritrovata a riflettere anch'io!









mercoledì 7 novembre 2018

Padiglione della SANTA SEDE alla XVI Mostra Internazionale Architettura Venezia 2018

"Vatican Chapels": sono state chiamate così le varie cappelle disseminate nei giardini di Palazzo Cini, sull'Isola di San Giorgio. Non ero mai stata all'interno del parco e ne valeva davvero la pena, il posto è molto romantico, poetico... meglio poi con il sole che splende e l'aria è mite.
E' ancora un bellissimo inizio di settembre, qui a Venezia.
Girato l'angolo della chiesa, uno sguardo alle barche ormeggiate e al campanile di Piazza San Marco.



All'ingresso del parco, un paio di signorine gentilissime e graziose mi danno il benvenuto indicandomi il percorso. Attraversando il sentiero di ghiaia sembra quasi di immergersi in un mondo incantato.
E' la prima volta che la Santa Sede partecipa alla mostra e il tema della piccola cappella dispersa nella natura si ispira a quella che Erik Gunnar Asplund (1885-1940) progettò per il cimitero di Stoccolma nel 1920.


Realizzato dall'architetto svedese tra il 1917 e il 1940, con la collaborazione del collega Sigurd Lewerenz, il sito dove sorge la cappella è noto con il nome di Cimitero nel bosco e da una ventina d'anni risulta iscritto nell'elenco dei siti Patrimonio dell'Unesco. 
Nell'allestimento ai giardini, il padiglione Asplund, posto all'inizio del percorso, ne espone i disegni originali e il plastico.
Le cappelle disseminate nel giardino sono in tutto dieci e gli architetti, provenienti da tutto il mondo, hanno fatto uso di materiali molto diversi, alcuni di recentissima produzione.
Più che cappelle cristiane, dice il curatore Francesco Dal Co, esse "rappresentano un luogo di incontro".



Girovagando di qua e di là, ecco apparire tra gli alberi e le dolci dune dell'isola le spartane Vatican Chapels. Quali ministri della religione immaginereste all'opera al loro interno? E quali sante parole pronuncerebbero le loro labbra? Nessun intermediario si è ancora intromesso tra Dio e l'essere umano; le cappelle sono infatti meravigliosamente vuote e chiunque potrebbe parlare, cantare, oppure starsene in silenzio. Sì, in assenza delle voci lo sciabordio dell'acqua, il vento tra le fronde, lo scricchiolio della ghiaia e il battito d'ali di qualche uccellino possono bastare (parafrasando Emily Dickinson...).





 



La mia cappella preferita?
Questa, progettata da SEAN GODSELL, geniale architetto australiano che ha deciso di impiegare un nuovissimo materiale, il laminato zintek, prodotto a Porto Marghera, cioè proprio qua vicino.


Sensibile ai temi sociali, osannato dalla critica, Godsell si cimenta in questa nuova sfida ispirandosi a ciò che è sotto gli occhi di tutti: il mitico skyline veneziano, e in particolare il tema del campanile.
"Ho sempre amato i campanili di Venezia", dice, e allora si va in alto, la torre sembra una scatola col coperchio capovolto, ma una volta entrati dentro non c'è più niente da fare... si guarda su, dritto verso il cielo.


In questo luogo si celebra una delicata liturgia... e funziona, perché ti inonda di pace e di fiducia.











lunedì 22 ottobre 2018

Giornate FAI Autunno 2018: TERAMO NASCOSTA, domenica 14 ottobre

Molto ben organizzata la giornata dei volontari FAI a Teramo, città che visito per la prima volta. Arrivo di mattina, intorno alle dieci. L'offerta è molto articolata e ricca: si va dalle domus romane ai palazzi medievali e liberty. L'iniziativa è intitolata "Teramo nascosta" e si svolge nel centro storico della città inondata dal sole. Ad eccezione delle domus romane, ho visto tutto.
I volontari del FAI forniscono ai visitatori un utilissimo depliant con cartina e segnaletica dei siti: ben fatto! Inoltre, all'ingresso di ogni sito, consegnano una sintetica ma esauriente scheda informativa. Purtroppo non ci sono visite a cura dei giovani ciceroni; nonostante ciò, l'incontro con alcuni dei proprietari dei palazzi soddisfa molte delle mie curiosità.
E' quanto si verifica, ad esempio, all'interno di PALAZZO MUZII CASTELLI.




Edificato nel 1908 per volere dello storico teramano Muzio Muzii che lo commissionò all'architetto Vincenzo Pilotti, autore anche del progetto della villa suburbana della famiglia, il palazzo rappresenta uno dei maggiori esempi del diffusissimo Liberty locale. Ricche le decorazioni in facciata: stucchi, intonaci e modanature sono opera di Genoino Michetti; le tempere, raffiguranti motivi floreali, sensuali fanciulle e le divinità Flora e Pomona, vennero realizzate dal teramano Ernesto Aurini (1873-1947) e dal fiorentino Giuseppe Zina, ideatore dei paramenti pittorici del Villino Astengo a Roma, similmente condotti.

 

Al terzo piano di Palazzo Muzii Castelli, le padrone di casa accolgono i visitatori iscritti al FAI, cui l'ingresso è riservato, accompagnandoli sul bel terrazzo assolato dove li attende un graditissimo rinfresco.

 

Sofisticato il repertorio floreale che appare sui soffitti delle stanze. Il Liberty, nato in Inghilterra alla fine dell'Ottocento, dall'applicazione su stoffe, mobili e vari oggetti d'arredo di motivi che traevano per lo più ispirazione dal mondo vegetale, trovò ampia applicazione nell'architettura e nella pittura murale italiane, specie in seguito ai trionfi conseguiti all'Esposizione Universale di Parigi del 1900 e di Torino del 1902.



Sottoscrivo in pieno quanto spiegato da Mario De Micheli a p. 114 del suo imprescindibile Le avanguardie del Novecento, 1986 (a proposito delle radici dell'astrattismo): "L'arabesco floreale del liberty, sciolto da un riferimento di figurazione obiettiva, porta inevitabilmente al primo acquarello astratto del 1910 [naturalmente sta parlando di Kandinsky]. E ancora: "La linea del liberty si muove sul rettangolo del foglio o della tela sorretta da un impulso fantastico, s'arricciola, si spezza, s'impenna, procede dritta, ripiega repentinamente.Ormai l'opera non ritrae più il mondo oggettivo; il ponte con la realtà contingente è rotto".


Proprio di fronte a Palazzo Muzii Castelli, si erge  PALAZZO SAVINI. L'edificio sorge sulle rovine di un'antica domus romana (i mosaici sono conservati in situ, nel seminterrato), sulle quali nel corso del Cinquecento venne eretto l'antico carcere (poi Regia Udienza) della città. La ristrutturazione dell'imponente edificio avvenne nel corso del XIX secolo, quando il piano terra venne riservato alle botteghe e al primo piano venne ad abitare Bernardo Savini (1812-1884).  Nel 1885 il nipote Giuseppe pubblicò su di lui un'affettuosa biografia, dove ne tratteggia lo schivo carattere di uomo sensibile, cagionevole di salute e religiosissimo.



Dal cortile interno si accede ai numerosi appartamenti che oggi lo compongono.



La presenza di questa data all'ingresso potrebbe essere un indizio sull'effettivo inizio dei lavori.


Veniamo a sapere che il salone del palazzo era celebre per le feste che vi si allestivano.
Riesco a vedere poco dell'antico splendore, dato che sono soltanto un paio le stanze effettivamente aperte. In questo riquadro fa la sua comparsa una figura femminile che, ci dicono, ricorre spesso sui soffitti dei palazzi teramani: la dèa Flora.


Altrove il tema e lo stile cambiano totalmente: dal mito più convenzionale alla celebrazione delle antiche origini della famiglia.


E' evidente che qui si narra la storia: siamo alla corte di un illustre, potente personaggio del Rinascimento, forse un regnante... ma non porta corona. Il suddito riceve dalle sue mani un importante attestato, forse la concessione del feudo e del titolo nobiliare. Per questo compie un gesto di ringraziamento e di fedeltà. Decisamente più interessante dell'esempio precedente, e notevole anche la mano del pittore!


Sofisticati i battenti in legno delle porte d'ingresso!



A Teramo, se si escludono gli edifici religiosi, poco sopravvive dell'epoca medievale. Fa eccezione PALAZZO MELATINO, rilevato dalla Tercas nel 1996 per diventare degna sede della sua fondazione. 


Dico subito che i rimaneggiamenti dovuti al restauro architettonico sono rilevantissimi e, a mio modesto parere, non sempre felicemente riusciti. Trovo, ad esempio, che questi "portoni" in ferro siano un esperimento malriuscito, e dire che generalmente amo moltissimo l'accostamento del contemporaneo all'antico!


Nonostante il fatto che la famiglia ne avesse ottenuta facoltà di locazione già nel 1232, l'effettiva costruzione del palazzo avvenne solo nel 1372, per volontà di Roberto IV di Melatino. Nell'Ottocento l'edificio appartenne ai Savini: le due proprietà sono infatti confinanti e il retro di Palazzo Savini è visibile dal giardino nella corte retrostante la fondazione.




Al piano terra il moderno progetto di ristrutturazione ha inteso mettere in luce le varie stratificazioni storiche. Al di sotto del pavimento in vetro si possono osservare i resti di due sovrapposte domus romane, una musiva e l'altra sectile, oltre all'assetto medievale del palazzo.



Ho trovato eccezionale l'impresa editoriale che la fondazione ha avviato a partire dagli anni '80: sono infatti arrivati a sette i volumi dei Documenti dell'Abruzzo Teramano, un progetto editoriale imponente che offre una rilettura aggiornata del territorio, a partire dalla Preistoria fino all'Unità d'Italia. Una ricerca incentrata principalmente su documenti figurativi (opere d'arte e di artigianato artistico), ma anche storici, musicali e del folklore. Curata da studiosi di alto profilo, la collana DAT viene ora resa consultabile on line entrando nel sito web della Fondazione Tercas.

Continuando la nostra bella passeggiata lungo il corso, troviamo PALAZZO FRANCHI, aperto ai visitatori dagli eredi della famiglia Franchi, che ancora lo abitano.



Velocissima anche la mia visita di PALAZZO GIUSTINIANI, poco distante: nell'edificio ottocentesco si può ammirare esclusivamente una ingegnosa scala elicoidale con gradini in travertino montati ad incastro. Salendo fino all'ultimo piano, l'impressione è di apparente precarietà. Bella.



Di PALAZZO GIUSTI è possibile vedere solo l'elegante facciata liberty, caratterizzata da una modanatura ad arco ellittico ribassato sopra porte e finestre. Da notare anche le decorazioni floreali sulle balaustre in ferro battuto. Sembra che all'interno non rimanga niente dell'antico splendore.


Nel pomeriggio, ho visitato la Casa del Mutilato, pesantemente rimaneggiata in stile eclettico alla fine dell'Ottocento, 


il giardino della Villa Comunale (sede della Pinacoteca civica, purtroppo chiusa dopo le 13...) e la Cattedrale, dove una guida ci illustra le figure presenti nel Polittico di Jacobello del Fiore, realizzato con ogni probabilità durante la sua permanenza nelle Marche e in Abruzzo tra il 1425 e il 1430.


Senza ombra di dubbio però, la cosa più bella che ho visto qui a Teramo è VILLA BLANDINA, ancora in stile liberty, restaurata con grandissimo amore da uno dei proprietari (un architetto che si è preoccupato di conservarne anche i materiali meno nobili reimpiegandoli intelligentemente). Qui i soci FAI sono accolti in entrambi gli appartamenti e possono vedere quasi tutto accompagnati  dall'affascinante spiegazione dei padroni di casa.


La villa, situata nelle immediate vicinanze del centro storico, venne fatta costruire nel 1913 dal medico Tommaso Pirocchi che ne commissionò il progetto all'ingegnere teramano Alfonso de  Albentiis (1871-1942).
Eccone l'atrio, 



lo scalone,



il terrazzo che si affaccia sul rigoglioso giardino,


e i bellissimi soffitti dipinti da Vincenzo Sardella.



Qui vi faccio notare lo straordinario effetto damascato di questa tempera!





Sardella e De Albentiis lavorarono insieme anche nella realizzazione di Villa Capuani Celommi a Torricella Sicura (TE), nel cui salone ritroviamo una figura beneaugurante identica a questa Primavera di Villa Blandina.


A Teramo Vincenzo Sardella realizza nel 1903 anche le decorazioni pittoriche della Chiesa dell'Annunziata.

Belle anche le sovrapporte, dipinte a Napoli.


Al termine di questa ricchissima giornata, ringrazio il gruppo FAI di Teramo: complimenti a voi e alla vostra bella città!