martedì 16 gennaio 2018

Giambattista Piranesi a Pesaro

Domenica 7 gennaio  mi sono recata presso i Musei Civici di Pesaro per vedere la mostra sulle incisioni di Piranesi provenienti dalle collezioni della Fondazione Giorgio Cini di Venezia.


Giovanni Battista Piranesi (1720-1778) è un architetto veneto che, giunto a Roma  intorno alla metà del Settecento con il non facile obiettivo di entrare nel giro delle grandi commesse ecclesiastiche, si fa un nome - e una considerevole fortuna - in qualità di incisore di vedute sulle rovine dell’antichità.
La conoscenza di innovative soluzioni prospettiche - messe in atto nella coeva scenografia teatrale dove, abbandonata la centralità del punto di fuga, l’adozione di numerosi assi obliqui permetteva di ottenere effetti di spettacolare dilatazione degli spazi - consente al giovane Piranesi di elaborare un nuovo modo di posare lo sguardo sul paesaggio dell’urbe; le sue raccolte, spesso accompagnate da eruditi commenti, ottengono un grande successo sin dal primo apparire sul mercato antiquario.
Nel vasto repertorio dell’artista non ci sono solo studi “archeologici” – ideologicamente connessi alla dimostrazione della superiorità strutturale e ornamentale delle architetture romana ed etrusca su quella greca – ma anche una serie di disegni di fantasia, le Carceri d’invenzione, luoghi immensi ma claustrofobici e oppressivi, abitati da figurine spettrali che si muovono tra mura possenti, scalinate labirintiche e ponti sospesi nel vuoto.
Nelle sale di Palazzo Mosca, le splendide acqueforti di Piranesi sono esposte accanto alle opere della collezione permanente dei Musei Civici. Sicuramente rivedere la Pala di Bellini è un’emozione piacevole, ma la soluzione adottata dal curatore non è delle migliori: infatti,  a causa della carenza di spazio sulle pareti libere, le stampe sono state appese in più ordini, una sopra l’altra, fin quasi al soffitto. Di conseguenza, la visione delle opere collocate in altezza risulta praticamente impossibile e questo è ancora più grave in quanto il disegno di Piranesi, per essere fruito in maniera soddisfacente,  richiede una lettura meticolosa, tanto degli oggetti e dei luoghi che vi appaiono, quanto delle annotazioni critiche dell’artista.  



Il percorso termina in una grandissima aula vuota dove è in funzione uno schermo gigante sul quale scorrono le immagini delle Carceri in versione realtà aumentata, un espediente digitale molto efficace e coinvolgente in grado di rendere palpabile il senso di vertigine solo parzialmente intuito nella visione bidimensionale dei fogli.
Per ovviare ai problemi cui facevo riferimento poc’anzi, l’intera mostra poteva forse trovare posto sulle pareti di questo stanzone; in ogni caso, semplici vetrine oblique, eventualmente collocate al centro delle stanze del museo, avrebbero sicuramente permesso una più soddisfacente fruizione delle opere.
Mentre osservavo le vedute settecentesche, ho anche pensato a come sarebbe stato interessante farle dialogare con alcune riproduzioni della modernità non soltanto per capire, attraverso il confronto,  cosa è cambiato negli ultimi duecento anni, ma anche per entrare in empatia con l’artista, afflitto per la tragica e ineluttabile perdita dei “resti” dell’antica Roma.

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