mercoledì 14 aprile 2021

 PALAZZI E VILLE delle MARCHE: a caccia di stampe e di originali

Oggi vi porto dentro uno dei miei personalissimi luoghi del cuore, già mio oggetto di studio e pubblicazione, con una recente scoperta inedita: 

Dafni e Amore nella Villa di Fontebella a Piane di Montegiorgio

Fondazione di epoca romana, completamente rinnovata dal marchese Andrea Passari Venturi Gallerani intorno al 1870, su progetto dell'architetto senese Giuseppe Partini, la villa è oggi spoglia di ogni decorazione, eccetto questa.


L'immagine, per quanto mi è dato sapere, è unica nelle Marche, e non sembra riconducibile a un originale pittorico (quadro o soffitto che sia), ma solo di tipo xilografico. La  cosa non dovrebbe stupire, dato che parliamo di una stampa ispirata a un poemetto settecentesco, spesso corredato da illustrazioni come questa. 



Sto parlando del poemetto pastorale IL PRIMO NAVIGATORE (1756, prima edizione in tedesco), del poeta e pittore svizzero Salomon Gessner (1730- 1788). Con i suoi Idilli Gessner era diventato famoso in tutta Europa (si contano a decine le traduzioni italiane, a partire da quella di Fernando Ceppelli del 1771) e molti artisti ne avevano subito l'influenza: Felice Giani, ad esempio, tradusse in immagini le gesta del primo navigatore nel Palazzo dell'Ambasciata di Spagna a Roma (1806) e in Casa Conti a Bologna (1810).


In questo disegno 
della Pinacoteca Nazionale di Bologna, intitolato Il primo navigatore incoraggiato da Amore si accinge a salire sulla piroga, il tema è ripreso da un altro grande pittore neoclassico, Pelagio Pelagi.


Ma com'è la storia del primo navigatore? 

Immaginiamo un mondo primordiale, un'età dell'oro della natura, quasi un paradiso terrestre. Dafni, un pastorello che ne abita i boschi ameni, è innamorato di Melide, imprigionata però in una lontana isola; protetto e incitato da Amore, usando il proprio ingegno per costruire la prima barchetta a remi, Dafni riesce infine a raggiungere l'amata.

Il soffitto di Fontebella mostrerebbe dunque Dafni in difficoltà, scoraggiato, e Amore che, seppure invisibile, continua a sostenerlo e a spronarlo, infondendogli il coraggio necessario per affrontare l'impresa della traversata.

Tale è la celebrità di questo poemetto, che negli anni a cavallo tra Sette e Ottocento ne verranno tratti anche commedie e balletti di successo. 

Non poteva di certo restare escluso dal gran commercio di stampe neoclassiche!

E infatti, ecco qua l'originale dei nostri Dafni e Amore montegiorgesi, nella versione incisa da Raffaello Morghen (1758-1833), su disegno di J. August Nahl II (1710-1781), corredata di titolo:

Dafni ed Amore: Amor diceva al pastorello afflitto: sciogli la barca e valichiamo il fiume, ti renderà beato il tuo tragitto


Un'incisione ai massimi livelli (edita a Roma da Giovanni Volpato intorno al 1780) che, come vi mostrerò in seguito, non è l'unica della serie dedicata agli Idilli di Gessner presente sul nostro territorio.


martedì 30 marzo 2021

  PALAZZI E VILLE delle MARCHE: a caccia di stampe e di originali

Da uno dei più prestigiosi e noti palazzi di Macerata viene l'immagine che vi propongo oggi per la mia rubrica dedicata alla ricerca dell'originale pittorico, ed eventualmente della stampa che ne ha agevolato la circolazione nelle Marche.


Mercurio dona la lira ad Apollo a Palazzo RICCI di Macerata


Vi siete mai chiesti chi fu l'inventore della lira tanto cara al dio Apollo? E con quali mezzi realizzò l'elaborato prodigio?

La nostra curiosità è ampiamente soddisfatta dalla lettura dell'Inno Omerico a Hermes (IV 75-78), dove si racconta dell'ingegnoso furto delle vacche di Apollo da parte di un giovanissimo Mercurio. Dopo che ebbe nascosta la mandria nell'antro di una grotta, Mercurio si imbatté in una tartaruga, la afferrò e se la portò a casa: aveva già delle idee sul destino di quel "giocattolo". Per prima cosa "estrasse la  polpa", poi "infisse nel guscio steli di canna", quindi "tese tutt'intorno una pelle di bue, fissò due bracci, li congiunse con una traversa e tese sette corde di minugia di pecora in armonia tra loro". A questo punto, non gli restò che provare a suonarla, e accompagnare col canto la magnifica musica che ne scaturì. Ma ecco che, rapito dalle note, Apollo la volle per sé e propose a Mercurio uno scambio pacifico: le vacche per la lira (Cfr. L. De Rose, Il volo della tartaruga, Atti del X Convegno SIA, 2010, p. 125).

L'episodio della consegna dello strumento è raffigurato in uno scomparto della celebre Galleria di Palazzo Farnese a Roma, affrescata da Annibale Carracci e bottega negli anni a cavallo tra il 1597 e il 1607.




Sui lati lunghi della galleria le otto scene mitologiche sono dedicate a personaggi, animali e cose trasformati in costellazioni, in questo caso il riferimento è alla costellazione della LIRA.

Fortunatissima fu la serie di 44 incisioni ad acquaforte immessa sul mercato da Carlo Cesi Cesio(1626-1682), all'incirca mezzo secolo dopo la realizzazione degli affreschi. 

 


Speculare rispetto alla stampa originale, è la resa di questa copia da Cesi incisa in controparte da un artista anonimo.


E' certo che le immagini riportate sulle stampe tratte dalla Galleria di Palazzo Farnese godettero di grande fortuna e funsero da modello nelle decorazioni di molti palazzi, non solo marchigiani. Ma ritornerò sull'argomento con altri esempi.

Intanto, questo riquadro con Mercurio e Apollo si trova a Palazzo Montani Antaldi di Pesaro (sede Museo Nazionale Rossini),


  e questi due a Brescia, in Palazzo Barboglio, 


e in Palazzo Averoldi.




martedì 23 marzo 2021

  

 PALAZZI E VILLE delle MARCHE: a caccia di stampe e di originali

In questo secondo appuntamento della mia rubrica, vi invito alla scoperta di ben tre dimore storiche marchigiane (e non solo), dove la presenza della stessa immagine nel soffitto dipinto (trattasi spesso di un salone), testimonia il grande favore di cui godeva in provincia la riproduzione di una celebre opera decorativa romana negli anni a cavallo tra Sette e Ottocento.

2.  Allegoria dell'Aurora:     

  

   Palazzo Lazzarini di Macerata;         



      Villa Lauri di Pollenza (MC);




    Palazzo Venieri Carradori di Recanati (MC).                       




Nel cielo si annuncia l'inizio di un nuovo giorno; Aurora (la greca Eos), vestita di giallo,  diffonde nell'aria i colori tenui di pallide rose e fiori  (Esiodo, Teogonia 371; Omero, Iliade VIII e XIV, Odissea XV); alle sue spalle, con torcia che arde, il figlio Fosforo, "nunzio della luce sulla terra", prima stella del mattino (Esiodo, Teogonia 378, 381; Omero, Iliade XXIII); sul carro, trainato da quattro cavalli di colore diverso, come le digradanti sfumature della luce all'avanzarsi del giorno (Ovidio, Metamorfosi, II), c'è suo fratello Elio, il dio Sole (Omero, Iliade VII e VIII; Esiodo, Teogonia 371; Inno Omerico XXXI); intorno al dio stanno le Ore che, assolto il compito di attaccare i cavalli al cocchio d'oro, opera di Efesto, governano con lui il ciclo delle stagioni e della natura (Omero, Iliade,V; Esiodo, Teogonia 901).

Nella parte superiore di questa incisione, tratta da un rilievo romano del II secolo d.C. con  Mitra che uccide il toro sacro (al Louvre-Lens), compaiono, ad eccezione delle Ore, i protagonisti della nostra scena. 




Sono sicura che a molti di voi questa immagine dell'Aurora risulterà familiare, anche se il luogo in cui è stata elaborata, di proprietà privata, non è  particolarmente  accessibile, dato che rimane aperto al pubblico solo il primo giorno di ogni mese. 
Ma vi assicuro che vale la pena organizzarsi per andare a darle un'occhiata.

Siamo  ancora  una volta a  Roma, ma nella Roma di  inizio Seicento,  nell'odierno  Casino Pallavicini  Rospigliosi, la cui sala centrale ospita  questo celebre affresco di Guido Reni (1575-1642).




Fu Scipione Borghese (suoi erano il palazzo, il parco e l'elegante casino sul Quirinale) ad ingaggiare il pittore bolognese, all'apice della sua fama, nel 1614.

Il racconto del ciclico sorgere del sole è qui strettamente connesso ai rilievi antichi che il cardinale fece inserire nella facciata del casino, in origine lastre di sarcofagi romani, i cui motivi rimandano alla ricerca dell'immortalità: così, mentre il Sole attraversa i cancelli del cielo di cui Aurora è custode, nasce per gli uomini la speranza di una rinascita e di una vita migliore.

Attraverso  quali vie il disegno del celebre affresco giunse in  provincia? 
Stampe, of course!
Già dal XVII secolo le incisioni che lo riproducevano per intero o, come in questo esempio di Jacob Frey, estrapolandone un particolare, erano tante.




Nel cercarne degli esempi da mostrarvi, ho ritrovato alcuni "vecchi amici", incisori neoclassici di grande fama che mi era già capitato di studiare in occasione delle mie ricerche su Palazzo Passari di Montegiorgio e Palazzo Bruschetti di Camerino.




Questa bellissima stampa risale ai primi anni dell'Ottocento e si deve a uno dei massimi incisori di traduzione italiani: Raffaello Morghen (1758-1833). Qui Morghen incide il rame sulla base di un disegno fornitogli dal pittore Antonio Cavallucci, per dedicarlo al principe Giuseppe Rospigliosi, duca di Zagarolo.
Siamo in un'epoca in cui questo genere di stampe, orgogliosamente firmate e dedicate a potenti personaggi dell'alta società italiana e non solo, hanno un vastissimo mercato collezionistico. 

Contemporaneo di Morghen, anche Francesco Rosaspina (1762-1841) realizza una sua versione dell'Aurora Pallavicini.




Mentre Morghen incide da un disegno di un pittore a lui contemporaneo, quello che Rosaspina ricalca è un foglio molto prezioso, dato che risale a due secoli prima ed è un raro oggetto d'antiquariato: si tratta infatti di un disegno realizzato da un notissimo pittore seicentesco, che poté ammirare l'Aurora Pallavicini non appena compiuta, tale Giovanni Francesco Barbieri, soprannominato il Guercino (1591-1666). 
Ovvio che il Guercino dovette confrontarsi con l'impareggiabile modello di Reni, essendo stato chiamato, giusto sette anni dopo, a decorare con lo stesso tema la volta del Casino Ludovisi (Roma,1621). 

Davvero incredibile come viaggino veloci nel tempo e nello spazio le immagini, già prima dell'invenzione della fotografia!

La mia rassegna termina con un'incisione a contorni, come vi dicevo usata generalmente a fini scientifici nei manuali di storia dell'arte ottocenteschi,
 



con una versione molto raffinata del 1890 del fiammingo Johannes Burger;




e, per concludere, con il soffitto di un palazzo mantovano, Palazzo Bonacolsi (o Acerbi-Cadenazzi), decorato a partire dal 1811 da Felice Campi, che fa capire chiaramente come la  citazione erudita di grandi capolavori del passato non fosse solo una moda marchigiana!



mercoledì 17 marzo 2021


 PALAZZI E VILLE delle MARCHE: a caccia di stampe e di originali

Ho deciso di dare il via a una vera e propria rubrica, dedicata alle mie più recenti e inedite scoperte riguardo la presenza in alcune dimore storiche marchigiane di immagini tratte sostanzialmente da stampe.

Benvenute/i al primo caso di studio.



  1. Venere ferita da Amore a PALAZZO PASSARI di Montegiorgio


L’immagine di Venere ferita da Amore, nella Stanza del Tempo che svela la Verità, piano nobile di Palazzo Passari di Montegiorgio, è copia di un affresco realizzato nel 1516 dagli allievi di Raffaello, su disegno del maestro, per la Stufetta del Cardinal Bibbiena (Palazzo Apostolico, Città del Vaticano), la cui decorazione venne commissionata al maestro urbinate dal cardinale Bernardo Dovizi di Bibbiena, concordando con Pietro Bembo i motivi mitologici da inserirvi. 

L’immagine è tratta dalle Metamorfosi di Ovidio (Libro X, 525-526) e costituisce l'incipit della storia d’amore di Venere e Adone, illustrata in altri due riquadri con scene successive all'innamoramento della dea.

Ecco la celebre stufetta cinquecentesca e il particolare del riquadro con Venere ferita da Amore.




Questa la descrizione di Hermann Dollmayr che nel 1890 poté vedere e studiare gli affreschi, individuandone le fonti letterarie: “Venere [è] seduta in un bel paesaggio, cogli occhi rivolti mestamente a terra e la mano appoggiata alla mammella sinistra, attraverso la quale Amore l’ha colpita al cuore con un dardo. Amore le sta accanto appoggiato al suo arco e la guarda furtivamente, mentre essa gli appoggia languidamente il braccio sulla spalla” (cfr. H. Dollmayr, Lo stanzino da bagno del Cardinal Bibbiena, 1890, pp. 276-277).

A causa dei soggetti licenziosi, la visita dello stanzino da bagno fu a lungo proibita e perciò conosciuta solo attraverso delle incisioni. 

Dollmayr stesso indirizza il lettore alla visione di una stampa di inizio Ottocento tratta da un disegno di Tommaso Piroli (1752-1824), sebbene le stampe più antiche si devono alla mano di Marco Dente di Ravenna (n.? -1527) e di Agostino Veneziano (1490-1540), entrambi allievi di Marcantonio Raimondi, incisore di fiducia di Raffaello, immesse sul mercato subito dopo la fine della campagna decorativa vaticana.

Questa è la stampa rinascimentale di Agostino Veneziano; da notare, fenomeno non insolito a quei tempi, l'inserimento di un paesaggio urbanizzato alle spalle dei protagonisti, frutto dell'invenzione autonoma dell'incisore.

 

Questa  è  invece  la  stampa  neoclassica  di  Tommaso  Piroli,  dove la  resa  del paesaggio  campestre  è  fedele  all'originale. Si  tratta  di  un'incisione a semplici contorni, senza particolari indicazioni chiaroscurali, del tipo molto diffuso a partire da inizio Ottocento, generalmente impiegato come illustrazione a corredo di opere storiografiche destinate a un pubblico di artisti e critici d'arte.


Per finire, aggiungo anche la bellissima stampa a guazzo di Michelangelo Maestri, ancora inizio XIX secolo, popolarissimo tra gli stranieri che ne acquistavano le opere come ricordo del Grand Tour compiuito in Italia.