giovedì 20 settembre 2018

a VENEZIA per la 75ma edizione del FESTIVAL DEL CINEMA... e non solo

Torno a Venezia ogni anno, la prima settimana di settembre.




Gondole, velieri e vaporetti... queste le uniche imbarcazioni che vorrei vedere nei canali.


E anche spose in Piazza San Marco!


Ai Giardini e all'Arsenale c'è la Biennale di Architettura, intitolata FREESPACE. Ho visto alcune delle sedi sparse per per la città, mi hanno colpito il tema esposto dall'Estonia (WEAK MONUMENT) e le cappelle della santa Sede erette nel meraviglioso giardino della Fondazione Cini sull'Isola di San Giorgio.
Durante il giorno, perché al cinema si va di sera, ho visitato quasi tutto ciò che offriva il Museum Pass (pagato 18 euro con la riduzione FAI): Museo Correr (con in corso mostra interessantissima sui primi 50 anni dall'invenzione della stampa, Printing Revolution 1450-1500), Museo di Storia Naturale, Musei di Palazzo Mocenigo (Costume e Profumo) e di Palazzo Fortuny (all'interno due mostre temporanee d'arte contemporanea e la collezione di famiglia), Casa di Carlo Goldoni, Mostra su Tintoretto a Palazzo Ducale. Ho anche visitato Villa Foscari la Malcontenta a Stra, palladiana.

Il motivo per cui sono qui è però il Festival del cinema.
All'Hotel des Bains di Lido visito la mostra sui 75 anni della manifestazione... che posto chic!




Urge raccontare subito dei film visti alla doppia proiezione serale del Palabiennale.
Neanche a farlo apposta, il primo tratta l'argomento artista incompreso: l'ultimo Van Gogh, interpretato da Willem Dafoe in Eternity's Gate. Qualcosa mi ha profondamente infastidita in questo film, fatto bene, per carità. Cosa fosse, l'ho capito durante il momento topico, probabilmente la scena in cui si palesa in maniera esplicita il pensiero del regista Julian Schnabel. Ricoverato da tempo in un sanatorio, Vincent riceve la visita di un prete (l'attore è lo straordinario Mads Mikkelsen), incaricato di stabilire se il pittore sia guarito e pronto a varcarne i cancelli. Il prete gli dice che le sue opere non sono altro che  mostruosità; non lo ritiene dunque un vero artista. Il personaggio "retrogado", che in definitiva non riesco a disprezzare fino in fondo (come forse il regista vorrebbe), rappresenta il mondo "piccolo borghese" incapace di riconoscere la vera genialità. Van Gogh, lucido, sa che nessuno vuole i suoi quadri, non è ancora riuscito a venderne uno né tanto meno ad esporre. Insomma, quella società è ottusa e ipocrita (come gli ripete lo stesso Gaugin) e non è pronta alla "rivelazione". Per questo l'artista risponde così alle critiche del prete: "Anche il valore di Gesù è stato riconosciuto dopo decenni dalla morte!". Veramente stucchevole. Non ho apprezzato l'implicito giudizio: loro (i contemporanei dell'artista) non hanno capito niente; noi (i moderni) invece sì. Troppo semplice e troppo ruffiano. Vogliamo chiederci invece una buona volta come e perché Van Gogh sia stato trasformato in un mito dagli storici dell'arte e, soprattutto, dalle strategie di mercato?

Parlando ancora del festival, ammetto che nessuno dei film visti mi ha colpito in senso positivo.
In generale ho trovato questa edizione non solo esageratamente violenta e sanguinaria, ma addirittura splatter.
Greengrass racconta le stragi di Stoccolma (22 July), ma il processo al neonazista non rivela niente sulle problematiche del fenomeno. Lo stragista resta una cellula impazzita in una società perfetta dove nessuno si mette in discussione.
Acusada è un altro esempio di superficialità: in fondo non mi interessa sapere se la ragazza è colpevole o innocente... invece vorrei capire come accadano fatti di questo genere, perché non si possono dare per scontati.
Che dire poi di The Nightingale? Sulla vendetta di una donna stuprata, cui hanno ucciso marito e bambina, forse ha saputo fare meglio Tarantino. Almeno in Kill Bill il sangue ha il sapore di un fumetto, qui è "accanimento terapeutico"! Giusto però il premio Mastroianni consegnato all'interprete dell'indigeno Baykali Gananbarr: il vero orrore di questa storia ottocentesca è lo sterminio degli aborigeni per mano dei colonizzatori inglesi, ma sullo stesso tema SWEET COUNTRY di Warwick Thornton,uno dei film visti lo scorso anno (penso non distribuito in Italia), ha saputo tenermi incollata alla poltrona fino all'ultimo, terribile sparo.
Sangue in abbondanza anche in Zan-Killing (Uccidere): se il giovane e talentuoso samurai ha il terrore di uccidere, così non è per i derelitti che lo trovano, uccidono le persone che lo accolgono amorevolmente e violentano la ragazza che lo ama. Alla fine, non può che reagire e superare il suo tabù.
Violentissimo il film fuori concorso con Mel Gibson, Dragged across concrete, però onesto, e lui ci sta benissimo dentro.
Crimini sì, ma di stato in Un peuple et son roi che inizia con la presa della Bastiglia e termina con il re sulla ghigliottina. Una bella lezione di storia, per chi ancora non sapesse che la rivoluzione l'hanno fatta i parigini delle borgate.
Se a proposito di Vox Lux e Les Estivants non ho intenzione di spendere una parola (non vedevo l'ora che terminassero...), scrivo poco di più sul film dal quale mi aspettavo tanto, Capri Revolution di Mario Martone. A un certo punto della storia, l'evoluzione della ragazza diventa fiabesca: la pastorella ignorante ha imparato a leggere, parla tranquillamente inglese, supera il suo mentore in saggezza. La strabiliante mutazione sembra un'iniezione di anacronistica modernità; l'effetto è estraniante e la stessa comunità "hippie" (pacifista e vegetariana) che la accoglie e la educa sembra un innesto forzato proveniente dal futuro, non da un possibile 1914. Però alla fine il film, intriso di ingenue utopie, si rivela piacevolmente poetico.

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