lunedì 30 luglio 2018

Basilea, la città dei 40 musei! Prima tappa, la FONDAZIONE BEYELER

Mi restano due giorni da spendere qui, sabato 16 e domenica 17 giugno. La città è piccola, tranquilla, i negozi chiudono alle sette, i bar poco più tardi. Rimarrebbe poco altro da fare, se non fossi "an addicted to Art"...! Nella settimana dedicata ad Art Basel, alcuni artisti contemporanei espongono in vari luoghi della città. Questa scultura di Georg Herold (1947), ad esempio,  campeggia al centro del chiostro della cattedrale Münster, custode della tomba di Erasmo da Rotterdam: le lucide, sgargianti figure in movimento dell'artista tedesco, compresse in una immobilità precaria, sono messe a dialogare con l'antica architettura gotica: un esperimento fin troppo abusato, ma sempre gradito, in quanto spesso capace di svelarmi simbologie inattese e nuovi estetismi.


Eccomi arrivata alla Fondazione Beyeler di Riehen, un paesino a mezz'ora da Basilea, presso il confine con la Germania. C'è la mostra BACON GIACOMETTI, e non solo.
L'edificio di Renzo Piano è pura poesia per gli occhi.



Sembra un'idea assurda, averli accoppiati, e sulla base di cosa? Per cominciare, di un dispositivo figurativo usato da entrambi, la gabbia.



L'opera di Giacometti si chiama "Le Nez" (1947-49), ovvero "Il Naso", ed è sospesa e può dondolare, cercando di andare oltre la gabbia. Gli occhi incavati nella testa glabra fanno pensare ad un teschio o a una maschera... o forse si tratta di Pinocchio? Ma se lo guardo di profilo mi ricorda persino un minaccioso revolver.
Degli stessi anni la "Testa" urlante di Bacon, ossessionato dall'opera "Ritratto di Papa Innocenzo X"(1650) di Diego Velazquez , di cui l'artista aveva sempre evitato di vedere l'originale, temendo di restarne deluso. Il motivo della bocca spalancata in un grido era stato ispirato a Bacon dalla visione del leggendario frame che nella Corazzata Potemkin cattura l'espressione disperata della bambinaia cui sfugge la carrozzina.
Alberto Giacometti (1901-1966) e Francis Bacon (1909-1992) si conoscono a Londra nel 1960, tramite una loro amica comune, Isabel Rawsthorne, pittrice e poi modella per entrambi.
Le loro opere mi sembrano veramente troppo diverse e reputo lontanissimo l'immaginario e la ricerca che ne sono a fondamento, ma i curatori trovano comunque una ragione per metterle accanto e  scovare alcune similitudini: la passione per il ritratto e la resa della figura umana, ad esempio.


Il ritratto di Annette Arm ("Annette assise dans l'atelier", 1960), che Giacometti sposa nel 1949,  potrebbe sembrare uno schizzo improvvisato, ma risulta che l'artista lavorasse a questo genere di disegni per anni, continuando ad apportarvi impercettibili modifiche.
Forse erano lavori preparatori per le sue vibranti sculture?



A proposito del "Ritratto di Michel Leiris" (1976), etnografo e scrittore francese amico di entrambi gli artisti, Bacon dice una frase molto interessante:
"The more the arificiality of the painting is apparent, the better, and the more chance the painting has of working or of showing something".
Magari non è il primo artista che si impegna nella resa di un'immagine sorta soltanto nella propria mente, rielaborando cioè sensazioni ed emozioni suscitate da un ricordo: sappiamo bene che da almeno un secolo e mezzo per rendere il reale aspetto di una persona basta fotografarla... eppure, se la battaglia sulla resa dell'apparenza fisica della persona è persa da tempo, non altrettanto dicasi per la resa della sua imponderabile personalità!



Per la poetica del "Trittico", ovvero della scomposizione in tre dipinti di un medesimo soggetto, sembra che Bacon si ispirasse ad un dramma di T.S. Eliot: ai curatori torna utile rimarcare, a questo proposito, che entrambi gli artisti amavano la letteratura... un altro "considerevole" punto a favore della similitudine tra i due, o no?
Comunque, nel trittico del 1967 Bacon rappresenta i tre momenti fondanti la vita di ogni essere umano: "Birth, and copulation, and death. That's all the facts when you come to brass tacks".
Triste, ma vero. 
La foto non rende, ma i colori sono sconvolgenti.



Bacon e Giacometti sarebbero simili anche perché  "lavorarono entrambi, e in maniera ossessiva, in uno studio stretto, modesto, centro del loro immaginario e della loro vita".
I leggendari ateliers dei due artisti vengono mostrati attraverso uno spettacolare filmato che scorre sul pavimento: mi colpisce il modo pazzesco di lavorare di Bacon! Grande ricerca sui colori: come pensavo, al di là dell'angosciante risultato, i suoi dipinti sono frutto di un'eccezionale maestria.


Per la mostra NATURE+ABSTRACTION, dedicata al cruciale abbandono del naturalismo agli inizi del secolo XX, la curatrice senior della Fondazione Beyeler Theodora Visher ha selezionato alcuni splendidi esempi dalla collezione permanente.
Come da manuale, la via che porta all'astrattismo è ripercorsa attraverso gli eucalipti di Piet Mondrian.





Non poteva mancare una delle Improvvisazioni di Kandinsky...


 ...né un paesaggio catalano di Mirò.


E neanche uno  degli esperimenti di Max Ernst, qui all'opera con la tecnica del grattage, frottage e persino con il suo pettine personale!


Alcune delle opere meravigliose che sono qui intessono un elegante, quasi struggente dialogo con la luce e l'acqua del giardino all'esterno.
E' il caso delle ninfee di Monet.




E' il caso delle due sculture cilindriche in vetro "Opposites of white" (2006-07) di Roni Horn: solido o fluido, chiaro o scuro, leggero o pesante? Allo sguardo sfugge la concretezza dell'oggetto, in continuo cambiamento.


 Ed è il caso delle lastre in vetro colorato di Olafur Eliasson, così simili agli effetti della sovrapposizione delle tinte ad acquerello. E per vederne tutte le sfumature, per acquisirne la piena percezione, occorre spostarsi a destra e a sinistra, inseguire la luce che le attraversa.



Mentre finisco la mia visita, vengo a sapere che nei locali del sotterraneo sta per aver luogo un evento niente male: Marina Abramovic è qui per presentare la sua autobiografia! Riuscirò a vederla?

Uscendo dalla sede della fondazione Beyeler, andiamo a dare un'occhiata alla vicina Kunst Raum Riehen, spazio espositivo dedicato ai giovani artisti locali.


L'edificio, un tempo abitazione tradizionale, è stato sventrato e adibito a moderna sala espositiva: un luogo fin troppo asettico e freddo.



Fenomenale questa carta adesiva d'artista con cui decorare le pareti e altro (la mia amica Silvana lo ha fatto con della carta che riproduce le famose tele a griglia di Mondrian).


Bello questo tavolo decorato con carta adesiva d'artista!


All'ultimo piano, la mostra temporanea con i video di Louisa Clements, allieva di Andreas Gursky all'Accademia di Düsseldorf. I video mostrano mani coperte da guanti zebrati che accarezzano molto lentamente il corpo di un manichino. L'artista "indaga la relazione tra spazio e corpo in movimento all'interno di diversi livelli di realtà". Così recita l'enigmatica didascalia, ma io rimango un po' sconcertata: non so che pensare di quello che vedo... immagino una sensualità negata... o forse il gesto che ti senti addosso è colpa dei neuroni specchio?





mercoledì 25 luglio 2018

ART BASEL 2018, ...finalmente!

Sono anni che desideravo andarci. Ogni volta che ne leggevo l'annuncio pensavo: "Quando riuscirò a vedere la più importante fiera europea di arte contemporanea?"
Voilà: 15 giugno 2018, ci sono anch'io. Splende il sole su Basilea, alle dieci sono a Messeplatz, un'ora prima dell'apertura..., ma inaspettatamente non ci sono code all'ingresso, forse perché è solo venerdì. La manifestazione dura una settimana e fino a mercoledì accoglie solo gli addetti. Da giovedì a domenica invece apre le porte ai comuni visitatori come me e la mia amica Meri.
Sulla piazza si affacciano i vari edifici della fiera, con architetture postmoderne spettacolari. Snelle figure in piedi sulle pedane-panchine stanno facendo una performance, un ballo lento e armonioso che distende i nervi e invita a godersi l'attimo. Esattamente ciò che farò, a cominciare dal lasciarmi invadere da un senso di beatitudine e soddisfazione. Ho grandissime aspettative!


Decidiamo di vedere prima la sezione UNLIMITED, una vera e propria mostra con curatela di Gianni Jetzer, direttore del Swiss Institute di New York. Impeccabile il servizio al guardaroba, ai controlli e degli assistenti nelle sale. Le opere qui sono distribuite all'interno di un unico, grande spazio, ai cui lati si aprono stanze più raccolte contenenti video, fotografie e istallazioni.  La maggior parte delle opere sono "storiche", rappresentative cioè della carriera di artisti contemporanei molto affermati.
Sono tutte veramente molto belle e alcuni degli artisti sono nostre "vecchie" e amate conoscenze. Ad esempio Ai Wei Wei, cui si deve questo poetico tappeto di cocci dal titolo "TIGER, TIGER, TIGER" (2015), composto da migliaia di basi di porcellane Ming, raffiguranti una tigre, che l'artista ha raccolto per anni.


Ecco uno psichedelico dipinto in acrilico su tela da James Rosenquist, "TELEVISION OR THE CAT'S CRADLE SUPPORTS ELECTRONIC PICTURE" (1988-89): sullo sfondo di galassie lontane, un volto femminile, un occhio e due enormi fiori della passione... l'artista si interroga sul futuro del nostro pianeta e dichiara tutto  il suo amore per la difesa della natura.


E' del 1959 questo "arabesco" coloratissimo di Georges Mathieu,"HOMMAGE AU CONNETABLE DE BOURBON". Azionista ante litteram, Mathieu dipinse tele come questa nel corso di una performance al Fleischmarkt Theater di Vienna, accompagnato dalla musica del sodale Pierre Henry.


Questo mastodontico dipinto è invece opera della pittrice cinese Yu Hong, membro del gruppo "New Generation" formatosi negli anni '90 a Beijing. In "Old Man Yu Gong Is Still Moving Away Mountains" (2017), la montagna da conquistare con grande fatica simboleggia il trionfo dell'uomo sulla natura, come proposto sia da un'antica e celebre leggenda cinese che dai discorsi della propaganda comunista.


Le due opere che seguono sono quelle che ho apprezzato di più.
La prima invita a riflettere sulla relatività dello sguardo. Infatti, le 13 diverse fotografie dell'artista Barbara Probst colgono lo stesso identico momento da diversi punti di vista. Mi accorgo lentamente, da piccoli particolari che ricorrono, che il posto e i protagonisti sono gli stessi, ma la fotografa si è via via posizionata in alto o in basso, vicino o lontano, dentro o fuori. C'è inoltre il gioco di chi guarda colui che a sua volta guarda e, naturalmente, la denuncia dell'ambiguità dell'immagine fotografica. Ciò che viene fotografato è la realtà, una realtà schiava della soggettività. Persino il tempo che sembra intercorrere tra una scena e l'altra e il movimento che questo implica sono fasulli, dato che tutto avviene in un unico istante. Geniale!


Concludo con la sorprendente istallazione di Matthew Barney, "Partition 2002-2018", ispirata a un frame del film che l'artista ha girato nel 2002, CREMASTER 3. Il bancone di un bar di plastica, realizzato in scala 1:1, cioè in proporzioni corrispondenti al vero, assume l'aspetto di una scultura monumentale che si è sciolta sotto l'effetto del calore: è l'inizio del disfacimento. La struttura si ispira ai locali frequentati negli anni '30 dai muratori che dall'Irlanda emigrarono negli USA per costruire i grattacieli newyorkesi e nasconde molti simboli della massoneria e del folklore della loro madrepatria.


Nel primo pomeriggio entriamo nella fiera vera e propria: la distribuzione delle gallerie rispetta la consuetudine fieristica, con infiniti corridoi sui quali si affacciano piccole stanze. Ci sono poi spazi occupati dai pezzi forti dei musei svizzeri, ad esempio della Fondazione Beyeler, di cui mi occuperò in seguito. Vedo moltissimi Picasso e altre opere delle avanguardie. La fiera si snoda su due piani e gira intorno ad un patio con bar e giardino. Se si tengono come riferimento visivo i finestroni che vi si affacciano è più facile orientarsi. Dopo tre ore che siamo qui, la mia amica Meri si arrende ed esce, io invece voglio dare un'occhiata a tutto e resisto fino alla chiusura. Ne vale la pena. Queste sono alcune delle cose più belle che ho visto.
La prima: un mondo alla rovescia... tutto quello che vediamo è riflesso in uno specchio, sebbene sembri stare in piedi sui ripiani di questo carrello


Poi c'è questa Venere scomposta, la posa è identica a quella della dèa in gesso che tengo a casa mia, ma il prezzo immagino sarà ben diverso...!


Capolavoro estetico... da rifare a casa.


Romantico, iperreale... ti confonde.


Pietre leggere stanno sospese; una testa di vetro azzurrino le sta immaginando.


Colori e colori... fanno da sfondo al volto monocromatico di una bambinetta soave.


Impossibile allontanarsi dalla dolcezza enigmatica di questa figura femminile.



Scomporre, liberare, rielaborare forme straconosciute come il corpo umano.


Da notare anche il sottilissimo confine tra arte e design.