Eccomi arrivata alla Fondazione Beyeler di Riehen, un paesino a mezz'ora da Basilea, presso il confine con la Germania. C'è la mostra BACON GIACOMETTI, e non solo.
L'edificio di Renzo Piano è pura poesia per gli occhi.
Sembra un'idea assurda, averli accoppiati, e sulla base di cosa? Per cominciare, di un dispositivo figurativo usato da entrambi, la gabbia.
L'opera di Giacometti si chiama "Le Nez" (1947-49), ovvero "Il Naso", ed è sospesa e può dondolare, cercando di andare oltre la gabbia. Gli occhi incavati nella testa glabra fanno pensare ad un teschio o a una maschera... o forse si tratta di Pinocchio? Ma se lo guardo di profilo mi ricorda persino un minaccioso revolver.
Degli stessi anni la "Testa" urlante di Bacon, ossessionato dall'opera "Ritratto di Papa Innocenzo X"(1650) di Diego Velazquez , di cui l'artista aveva sempre evitato di vedere l'originale, temendo di restarne deluso. Il motivo della bocca spalancata in un grido era stato ispirato a Bacon dalla visione del leggendario frame che nella Corazzata Potemkin cattura l'espressione disperata della bambinaia cui sfugge la carrozzina.
Alberto Giacometti (1901-1966) e Francis Bacon (1909-1992) si conoscono a Londra nel 1960, tramite una loro amica comune, Isabel Rawsthorne, pittrice e poi modella per entrambi.
Le loro opere mi sembrano veramente troppo diverse e reputo lontanissimo l'immaginario e la ricerca che ne sono a fondamento, ma i curatori trovano comunque una ragione per metterle accanto e scovare alcune similitudini: la passione per il ritratto e la resa della figura umana, ad esempio.
Forse erano lavori preparatori per le sue vibranti sculture?
A proposito del "Ritratto di Michel Leiris" (1976), etnografo e scrittore francese amico di entrambi gli artisti, Bacon dice una frase molto interessante:
"The more the arificiality of the painting is apparent, the better, and the more chance the painting has of working or of showing something".
Magari non è il primo artista che si impegna nella resa di un'immagine sorta soltanto nella propria mente, rielaborando cioè sensazioni ed emozioni suscitate da un ricordo: sappiamo bene che da almeno un secolo e mezzo per rendere il reale aspetto di una persona basta fotografarla... eppure, se la battaglia sulla resa dell'apparenza fisica della persona è persa da tempo, non altrettanto dicasi per la resa della sua imponderabile personalità!
Per la poetica del "Trittico", ovvero della scomposizione in tre dipinti di un medesimo soggetto, sembra che Bacon si ispirasse ad un dramma di T.S. Eliot: ai curatori torna utile rimarcare, a questo proposito, che entrambi gli artisti amavano la letteratura... un altro "considerevole" punto a favore della similitudine tra i due, o no?
Comunque, nel trittico del 1967 Bacon rappresenta i tre momenti fondanti la vita di ogni essere umano: "Birth, and copulation, and death. That's all the facts when you come to brass tacks".
Triste, ma vero.
La foto non rende, ma i colori sono sconvolgenti.
Bacon e Giacometti sarebbero simili anche perché "lavorarono entrambi, e in maniera ossessiva, in uno studio stretto, modesto, centro del loro immaginario e della loro vita".
I leggendari ateliers dei due artisti vengono mostrati attraverso uno spettacolare filmato che scorre sul pavimento: mi colpisce il modo pazzesco di lavorare di Bacon! Grande ricerca sui colori: come pensavo, al di là dell'angosciante risultato, i suoi dipinti sono frutto di un'eccezionale maestria.
Per la mostra NATURE+ABSTRACTION, dedicata al cruciale abbandono del naturalismo agli inizi del secolo XX, la curatrice senior della Fondazione Beyeler Theodora Visher ha selezionato alcuni splendidi esempi dalla collezione permanente.
Come da manuale, la via che porta all'astrattismo è ripercorsa attraverso gli eucalipti di Piet Mondrian.
Non poteva mancare una delle Improvvisazioni di Kandinsky...
...né un paesaggio catalano di Mirò.
E neanche uno degli esperimenti di Max Ernst, qui all'opera con la tecnica del grattage, frottage e persino con il suo pettine personale!
Alcune delle opere meravigliose che sono qui intessono un elegante, quasi struggente dialogo con la luce e l'acqua del giardino all'esterno.
E' il caso delle ninfee di Monet.
E' il caso delle due sculture cilindriche in vetro "Opposites of white" (2006-07) di Roni Horn: solido o fluido, chiaro o scuro, leggero o pesante? Allo sguardo sfugge la concretezza dell'oggetto, in continuo cambiamento.
Ed è il caso delle lastre in vetro colorato di Olafur Eliasson, così simili agli effetti della sovrapposizione delle tinte ad acquerello. E per vederne tutte le sfumature, per acquisirne la piena percezione, occorre spostarsi a destra e a sinistra, inseguire la luce che le attraversa.
Mentre finisco la mia visita, vengo a sapere che nei locali del sotterraneo sta per aver luogo un evento niente male: Marina Abramovic è qui per presentare la sua autobiografia! Riuscirò a vederla?
Uscendo dalla sede della fondazione Beyeler, andiamo a dare un'occhiata alla vicina Kunst Raum Riehen, spazio espositivo dedicato ai giovani artisti locali.
L'edificio, un tempo abitazione tradizionale, è stato sventrato e adibito a moderna sala espositiva: un luogo fin troppo asettico e freddo.
Fenomenale questa carta adesiva d'artista con cui decorare le pareti e altro (la mia amica Silvana lo ha fatto con della carta che riproduce le famose tele a griglia di Mondrian).
Bello questo tavolo decorato con carta adesiva d'artista!
All'ultimo piano, la mostra temporanea con i video di Louisa Clements, allieva di Andreas Gursky all'Accademia di Düsseldorf. I video mostrano mani coperte da guanti zebrati che accarezzano molto lentamente il corpo di un manichino. L'artista "indaga la relazione tra spazio e corpo in movimento all'interno di diversi livelli di realtà". Così recita l'enigmatica didascalia, ma io rimango un po' sconcertata: non so che pensare di quello che vedo... immagino una sensualità negata... o forse il gesto che ti senti addosso è colpa dei neuroni specchio?